La campagna Libera di Abortire nasce nel 2021 da un appello rivolto al Ministero della Salute al fine di proporre soluzioni alle problematiche emerse in 45 anni di legge 194. Nel 2023 abbiamo deciso presentare una proposta di legge per il superamento della 194: abbiamo depositato in Corte di Cassazione una proposta di legge che puoi sottoscrivere in homepage e al link radicali.it/firma/aborto
IN ITALIA UNA DONNA NON È LIBERA DI ABORTIRE
A 43 anni dall’entrata in vigore della legge 194 che ha decriminalizzato e regolamentato il diritto all’aborto, non siamo ancora nella condizione di decidere autonomamente e accedere liberamente all’interruzione volontaria di gravidanza, per colpa del numero altissimo di obiettori, delle violenze fisiche e psicologiche, dell’assenza di informazioni chiare e scientificamente corrette e delle amministrazioni anti-abortiste.
Alla luce della situazione allarmante e dei dati drammatici che abbiamo raccolto e che racconteremo approfonditamente qui di seguito, rivolgiamo un appello al ministro della Salute.
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Vengano date disposizioni alle Regioni per assumere medici non obiettori, ad oggi in numero insufficiente per garantire pienamente il diritto delle persone ad abortire.
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Sia inserito un indicatore specifico che valuti la presenza/assenza, tempi e modalità di erogazione dei servizi per l’interruzione volontaria di gravidanza, e siano previste, per le Regioni che non garantiscono tale prestazioni, penalizzazioni nei finanziamenti.
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Venga incentivata la telemedicina per il colloquio con il medico e il rilascio del certificato necessario per l’interruzione volontaria di gravidanza.
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Vengano fornite tutte le informazioni fondamentali sull’aborto sul sito del Ministero della Salute, incluse una mappa delle strutture ospedaliere dove è possibile accedervi e un vademecum esplicativo dei diritti delle persone che vogliono accedere al servizio.
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Siano svolte indagini conoscitive e aggiornate sull’aborto clandestino in Italia, le cui stime in tutti gli ultimi rapporti e secondo analisti, specialisti, prefetture e Ministero della Giustizia continuano ad essere poco attendibili.
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Vengano resi obbligatori percorsi di preparazione, aggiornamento e informazione del personale sanitario coinvolto nelle pratiche di IVG oltre che garantita adeguata formazione nelle scuole di specializzazione di ginecologia ed ostetricia.
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Vengano finanziati e incentivati progetti continuativi di informazione sessuale e affettiva nelle scuole, così da garantire la piena conoscenza dei diritti riproduttivi delle persone.
LA SITUAZIONE IN ITALIA E NEL MONDO
Alcune Giunte regionali, come quelle di Marche e Abruzzo, sfruttano le zone grigie della legge 194 del 1978 per impedire nei fatti un aborto civile, rifutandosi di seguire le nuove linee di indirizzo ministeriali sull’aborto farmacologico e svuotando così di significato il riconoscimento giuridico dei diritti riproduttivi.
In queste regioni, alle donne che scelgono di interrompere una gravidanza viene impedito di assumere la pillola abortiva RU486 nei consultori, nelle strutture ambulatoriali o in day hospital, sulla base di motivazioni antiscientifiche, impedendo dunque alle persone di esercitare il proprio legittimo diritto di scelta riguardo al metodo a cui poter ricorrere per interrompere una gravidanza.
Si moltiplicano anche i bandi che vogliono favorire le associazioni no-choice all’interno dei consultori: come quello avviato dalla Regione Piemonte, che mira ad attivare convenzioni con organizzazioni che nel proprio statuto riportano “la finalità di tutela della vita fin dal concepimento”.
A Matera, in Basilicata, l’unico medico non obiettore di coscienza in ASL è andato in pensione a fine 2020, costringendo le persone a spostarsi fino a Potenza, per poter accedere all’interruzione volontaria di gravidanza.
In Regione Lombardia è stata bocciata, a febbraio, la proposta di legge di iniziativa popolare “Aborto al Sicuro”. La legge tra l’altro prevedeva l’accesso a metodi contraccettivi gratuiti a lunga durata d’azione (confetti sottocute a lento rilascio o spirali), soluzione che, se fornita contestualmente all’IVG, favorirebbe, secondo la letteratura scientifica, l’educazione alla prevenzione.
In Molise il 92% dei medici sono obiettori di coscienza. A Bolzano si arriva all’87% mentre in Abruzzo, Puglia, Basilicata e Sicilia si supera l’80%.
Nel corso dell’inchiesta “In nome di tutte” lanciata pochi mesi fa da L’Espresso, centinaia di donne hanno raccontato le violenze fisiche e psicologiche a cui sono state sottoposte per mano delle istituzioni pubbliche italiane.
Con la pandemia da COVID-19 l’accesso ai percorsi di interruzione volontaria di gravidanza è stato altamente osteggiato attraverso la chiusura di reparti, la sospensione del servizio farmacologico, imponendo così il ricorso al metodo chirurgico in alcuni ospedali, la riduzione dei giorni di accesso agli ambulatori e la carenza del personale. Per molte donne accedere ad una IVG è stato quasi impossibile a causa del sovraffollamento di prenotazioni. Ciò a dispetto del fatto che le linee guida ministeriali definissero come prestazione indifferibile l’interruzione volontaria di gravidanza anche in caso di positività al virus.
La campagna di vaccinazione contro il COVID-19 e l’obbligo vaccinale per il personale sanitario, introdotto con decreto ministeriale il 7 aprile 2021, hanno riaperto il dibattito sull’obiezione di coscienza su motivazioni altre dall’aborto e sulle conseguenze dannose dell’obiezione esercitata da intere strutture: chi decide di non vaccinarsi, ed è quindi un obiettore, viene trasferito in un nuovo reparto o gli viene temporaneamente sospeso lo stipendio fino al termine della campagna vaccinale. L’obiezione di coscienza all’interruzione volontaria di gravidanza, invece, continua a registrare percentuali del 70% su tutta Italia da parte dei ginecologi, senza che le Regioni reagiscano o che la questione venga percepita e trattata come allarmante dalle istituzioni e dagli enti responsabili.
Alla percentuale di ginecologi che esercita obiezione di coscienza va aggiunto il numero di obiettori anestesisti (46%), e quello del personale non medico (42%), come gli infermieri e gli operatori socio-sanitari, per i quali le possibilità di esercitare obiezione di coscienza sono molto limitate dalla legge.
Il Comitato europeo dei diritti sociali, organo del Consiglio d’Europa, ha recentemente denunciato i gravi difetti del sistema italiano in tema di diritto all’aborto: il Ministero della Salute da diversi anni non fornisce, neanche su richiesta, i dati aggiornati sulle violazioni dei diritti riproduttivi, sugli aborti clandestini e sulle conseguenze dell’aumento degli obiettori. Per il Comitato, l’Italia viola l’art. 11 della Carta Sociale Europea: “Ogni persona ha diritto di usufruire di tutte le misure che le consentano di godere del miglior stato di salute ottenibile”.
Nessuna risposta è giunta dal Ministero della Salute in seguito alla valutazione negativa del Comitato.
Il sito web istituzionale del Ministero della Salute riporta indicazioni incredibilmente insufficienti sull’aborto: non viene spiegato come una persona possa accedervi nella propria Regione né cosa si debba fare per esercitare il proprio diritto. C’è però molto spazio dedicato ad informazioni miranti a dissuadere dall’interruzione volontaria di gravidanza.
Per quanto riguarda le pratiche clandestine di aborto i sistemi di rilevazione statistica sono inadeguati rispetto ai farmaci con effetti abortivi oggi comunemente reperibili, oltre che rispetto alle mutate dinamiche sociali e demografiche. Indagini conoscitive aggiornate sull’aborto clandestino in Italia sarebbero tanto più necessarie alla luce del mutato contesto normativo. Nel 2016 il legislatore ha depenalizzato l’interruzione volontaria di gravidanza clandestina, al contempo però innalzando in misura sproporzionata la sanzione pecuniaria. L’ammontare della sanzione pecuniaria in caso di aborto clandestino è passata dalla cifra simbolica di 51 euro ad una multa dai 5.000 ai 10.000 euro. Le conseguenze sono evidenti. Da un lato, chi ha abortito clandestinamente e ne subisce gli effetti, temendo le ripercussioni legali, non è incentivato a ricorrere al Servizio Sanitario Nazionale nè a denunciare chi pratica attività illecite e dannose. Dall’altro lato emerge, ancora una volta, la conseguenza culturale e sociale dello stigma, che fa ricadere la responsabilità prevalentemente su chi accede ad una IVG clandestina, invece di ampliare e garantire l’accesso gratuito e sicuro per tutte le donne che ne hanno necessità.
Le istituzioni scolastiche ancora oggi non hanno né linee guida chiare né fondi dedicati a programmi strutturali e continuativi sull’informazione sessuale e di educazione alla prevenzione. Bambini, bambine, ragazzi e ragazze hanno il diritto di ricevere una corretta informazione sessuale e affettiva, dal punto di vista culturale e giuridico. Come auspicato dalle leggi 405/1975 e 194/1978, è fondamentale che questi programmi diventino parte integrante dell’istruzione, responsabile dei futuri cittadini e cittadine.
E’ un conflitto mondiale, quello che si sta consumando oggi in moltissimi paesi e che ha come campo di battaglia il corpo delle donne, i loro diritti riproduttivi e la laicità dello Stato.
Ad esempio in Polonia, dove il 98% degli aborti effettuati risulta legato a malformazioni fetali, una recente sentenza della Corte costituzionale ha negato la possibilità di ricorrere ad una interruzione volontaria di gravidanza anche in questo caso. Le donne polacche sono così costrette a fare ricorso ad internet per cercare di ottenere pillole abortive così da poter interrompere una gravidanza anche in assenza delle due uniche motivazioni permesse (stupro o incesto e pericolo di vita per la donna).
L’attacco globale ha fatto fiorire però una vera e propria mobilitazione internazionale: sempre più persone ricorrono alle armi del diritto, organizzandosi per sollevare quesiti di costituzionalità rispetto a leggi discriminatorie. Dove invece è lo stesso sistema legale a privarle della libera scelta, la resistenza prende la forma di organizzazioni come “Abortion Without Borders” per aiutare chi lo richiede ad accedere all’aborto in casa con le pillole o all’estero nelle cliniche.
L'APPELLO AL MINISTRO DELLA SALUTE
Alla luce di tutto ciò rivolgiamo un appello al ministro della Salute, titolare delle competenze in materia, perché si attivino urgentemente per:
- creando un fondo in favore delle Regioni per l’indizione di concorsi finalizzati all’assunzione in servizio a tempo indeterminato, secondo quanto previsto dal contratto collettivo nazionale del SSN con riferimento esplicito all’impiego nei settori Day Hospital e Day Surgery per l’applicazione della legge 194/1978 Interruzione di gravidanza, con l’esplicita accettazione, senza riserve, di tutte le disposizioni che disciplinano tale impiego e l’eventualità della risoluzione immediata del rapporto di lavoro qualora venissero a mancare i presupposti requisiti, così come previsto a titolo di esempio nel bando della Regione Lazio del 2015.
- inserendo nell’ambito del calcolo del punteggio dei c.d. LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), un indicatore specifico, con peso significativo, che misuri la presenza/assenza di servizi per l’interruzione volontaria di gravidanza, i tempi d’attesa, la possibilità di scelta del metodo, l’estensione dei tempi per aborto farmacologico a 9 settimane da parte di tutti gli ospedali in adeguamento alle linee guida ministeriali di giugno 2020, cosicché le Regioni che non garantiscono tale prestazioni sarebbero penalizzate nel finanziamenti. Si potrebbe anche incentivare la pianificazione organizzativa finalizzata a contemperare distribuzione, accessibilità ed efficiente erogazione del servizio.
- sfruttando l’accordo Stato-Regioni del 17 dicembre 2020 che potrebbe permettere alle pazienti di rivendicare la possibilità di certificato telemedico anche per accedere alle pratiche di interruzione volontaria di gravidanza. Il certificato medico necessario per l’interruzione volontaria di gravidanza, infatti, sarebbe ottenibile in telemedicina tramite video colloquio con il medico, equiparandolo quindi ufficialmente, come già accade in Francia, Inghilterra, Scozia e Danimarca, ad un certificato ottenuto in presenza.
- attraverso il sito del Ministero della Salute, includendo una mappa delle strutture ospedaliere dove poter ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza e un vademecum esplicativo che riporti con chiarezza i diritti delle donne che vogliono accedere al servizio, i potenziali pericoli e ostacoli e come affrontarli. La relazione annuale del Ministero della Salute sulla attuazione della legge 194/1978 riporta una profilazione dettagliata delle “caratteristiche delle donne che fanno ricorso all’IVG”, ma similmente non viene fatto rispetto al personale medico sanitario che si occupa di erogare il servizio. Una conoscenza approfondita e una raccolta dati effettuata dalle autorità competenti, potrebbe permettere, invece, una azione regionale più puntuale nel garantire una adeguata distribuzione territoriale del servizio di IVG.
- sia nei consultori che negli ospedali. E’ fondamentale prevedere ambiti di adeguata formazione anche all’interno dei corsi universitari di medicina e chirurgia, di infermieristica, per operatori socio sanitari, oltre che nelle Scuole di specializzazione di ginecologia ed ostetricia. E’ necessario, infatti, che vengano introdotte all’interno dei corsi lezioni specificamente incentrate e aggiornate sulle previsioni della legge 194 e sulle pratiche di interruzione volontaria di gravidanza.
- creando un fondo, di concerto con il Ministero dell’Istruzione, in favore delle Regioni per sostenere progetti e iniziative formative di lunga durata nelle scuole, che perseguano obiettivi quali lo sviluppo di una sessualità consapevole e responsabile. I programmi devono avere lo scopo di informare, formare e accompagnare i giovani e le giovani su tematiche quali i metodi contraccettivi, la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, l’esistenza e le modalità di accesso ai servizi di consulenza e a tutti i servizi sanitari relativi alla salute sessuale e riproduttiva disponibili sul territorio, incluso tutto ciò che riguarda il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, in termini di accesso, procedure e modalità. Al contempo si devono valorizzare il ruolo e le competenze della rete dei consultori familiari.
L'APPELLO PER INFORMAZIONI CORRETTE SULLA LEGGE 194
Oggetto: Stato di attuazione della Legge n. 194/1978 e richiesta di incontro.
Egregio Ministro On. Schillaci,
Le scriviamo in occasione di questa importante giornata come rappresentanti di movimenti politici e associazioni che si occupano da tempo del tema dei diritti riproduttivi e sessuali delle cittadine e dei cittadini nel nostro Paese per porre alla Sua attenzione le criticità, ancora oggi presenti, legate al pieno, corretto ed omogeneo accesso sul nostro territorio al servizio di interruzione di gravidanza e per chiederLe di intraprendere alcune misure concrete nell’ambito dei poteri conferiti al Suo dicastero.
Da circa due anni portiamo avanti una campagna denominata “Libera di abortire”, un progetto di informazione pubblica, tutela legale e pressione sulle istituzioni, per dare voce alla crescente consapevolezza che in Italia sono ancora troppi gli ostacoli lungo il proprio percorso di scelta riproduttiva. Infatti, a 45 anni dall’entrata in vigore della legge 194 che, come noto, ha decriminalizzato e regolamentato l’accesso all’aborto, non siamo ancora nella condizione di accedere in piena sicurezza ed autonomia all’interruzione volontaria di gravidanza.
Le cause sono molteplici, ma vogliamo porre, anzitutto, alla Sua attenzione quella dell’assenza di informazioni chiare e scientificamente corrette o della difficoltà nel reperirle.
Al riguardo, uno degli strumenti più rilevanti per garantire la piena conoscenza ai cittadini e alle cittadine è rappresentato dalla Relazione annuale sullo stato di attuazione della legge contenente norme per la tutela della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza. In base all’articolo 16 della stessa legge 194, “entro il mese di febbraio” “il Ministro della sanità presenta al Parlamento una relazione sull’attuazione della legge stessa e sui suoi effetti, anche in riferimento al problema della prevenzione”.
Ad oggi non risulta che tale Relazione sia stata trasmessa e resa pubblica. Eppure, il ritardo nella trasmissione di tale atto non è una violazione meramente formale della normativa poiché, impedendo la piena conoscenza sulla situazione del nostro Paese in materia di ivg, pregiudica l’effettività del diritto delle cittadine a veder rispettate le proprie volontà nelle scelte di autodeterminazione nonché la possibilità delle realtà impegnate sul campo di offrire soluzioni migliorative del contesto e al Suo dicastero di far fronte agli obblighi di controllo e intervento.
Nella certezza che la Relazione sia in fase di elaborazione e alla luce dell’analisi delle passate Relazioni, vogliamo inoltre sottoporLe alcuni punti che riteniamo cruciali per il miglioramento della qualità e della quantità delle informazioni trasmesse.
Come rilevato dall’inchiesta “Mai Dati”, portata avanti dalle dottoresse Lalli e Montegiove, nelle scorse Relazioni di attuazione del Ministero della Salute sono stati indicati i dati nazionali e regionali in pdf, ossia dati chiusi, aggregati solo per regione e peraltro aggiornati, da ultimo, al 2020. Quello che occorre sono invece dati aperti e per ogni struttura ospedaliera. Solo i dati aperti sono infatti utili e hanno davvero un significato, permettendo alle donne di scegliere in quale ospedale andare, sapendo prima qual è la percentuale di obiettori nella struttura scelta.
A tale ultimo proposito, proprio attraverso la campagna che rappresentiamo avevamo formulato una proposta concreta e di semplice realizzazione al suo predecessore e che siamo oggi a proporre nuovamente a Lei. Considerato che il primo strumento di informazione per la cittadinanza è rappresentato dal sito internet istituzionale del Ministero che rappresenta e che ad oggi – eccezion fatto per il rinvio alla legge 194 e alla descrizione dei metodi con cui è possibile interrompere una gravidanza – nessuna ulteriore informazione viene fornita, e considerate le richieste di informazioni che ogni giorno riceviamo, riteniamo urgente che attraverso il sito istituzionale del Ministero della Salute vengano fornite tutte le informazioni fondamentali sull’aborto, incluse una mappa delle strutture ospedaliere sul territorio dove è possibile accedervi e un vademecum esplicativo dei diritti delle persone che vogliono accedere al servizio.
Tale servizio potrebbe essere realizzato partendo dalle informazioni che, per legge, le Regioni sono tenute a trasmettere ogni anno al Suo Ministero e sulla base di questionari che, in base a quanto sopra appena rilevato, potrebbero e dovrebbero essere da Lei aggiornati (“Le regioni sono tenute a fornire le informazioni necessarie entro il mese di gennaio di ciascun anno, sulla base di questionari predisposti dal Ministro. Analoga relazione presenta il Ministro di grazia e giustizia per quanto riguarda le questioni di specifica competenza del suo Dicastero”, articolo 16 Legge 194/1978).
In base alla classifica dell’Atlante delle politiche europee sull’aborto, che valuta 53 nazioni (e che oltre all’Europa include una serie di Paesi vicini al vecchio Continente, tra cui Russia, Turchia, Islanda e Ucraina) e al connesso rapporto, diffuso dal Forum del Parlamento europeo per i diritti sessuali e riproduttivi (“Epf”), emerge un mosaico legislativo e amministrativo diversificato nel nostro Paese sulle pratiche di assistenza all’aborto: l’Italia è tra i 19 paesi che hanno posizioni considerate più progressiste sul tema ma dove le donne devono rispettare requisiti “non necessari” dal punto di vista medico prima di accedere all’aborto (come i periodi di attesa obbligatori) e si attesta tra i 18 paesi che non forniscono informazioni chiare e accurate sulla cura dell’aborto, con un punteggio di 4 punti su 10 sull’informazione (online e non) in merito ai servizi.
Quella dell’informazione rappresenta, pertanto, una grave e urgente lacuna da colmare, che si ripercuote direttamente sul diritto alla salute delle persone.
Consideri inoltre che quello della carente e non corretta informazione è solo uno dei problemi che riscontrano oggi migliaia di donne nel nostro Paese. A questo si aggiungono il numero altissimo di obiettori di coscienza tra il personale medico e non medico e le disparità regionali nella garanzia del servizio.
Come saprà, a Matera l’unico medico non obiettore di coscienza in ASL è andato in pensione a fine 2020, costringendo le persone a spostarsi fino a Potenza, per poter accedere all’interruzione volontaria di gravidanza. In Regioni come il Veneto, la Lombardia e la Valle d’Aosta una percentuale elevata di persone è costretta ad attendere più di tre settimane per poter procedere con una ivg, tempo che secondo l’Organizzazione Mondiale per la Sanità appare incompatibile con la salute psicofisica della persona. In base agli ultimi dati completi disponibili, relativi all’anno 2020, in Molise il 90% del personale non medico è obiettore di coscienza. In Sicilia i ginecologi obiettori superano l’81%. A Bolzano si arriva all’ 84% mentre in Abruzzo, Puglia, Basilicata si tocca o supera l’80%. Come documentato attraverso specifiche richieste di accesso agli atti e atti di diffida formale, in talune Regioni insistono strutture che esercitano il 100% di obiezione di coscienza, in aperta violazione dell’articolo 9 della legge 194 ed in assenza di un intervento da parte delle stesse, sempre richiesto per legge (“Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale”)
E ancora, sempre in base all’ultima rilevazione del Ministero della Salute effettuata con i referenti regionali del sistema di sorveglianza ISS (e avvenuta nel 2021), è emerso che solo Toscana e Lazio avevano iniziato l’utilizzo di Mifepristone e prostaglandine in strutture extra-ospedaliere. Lombardia, Valle d’Aosta, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia e Calabria, non prevedevano la somministrazione di RU486 in strutture extra-ospedaliere nel 2021 (ultima Relazione al Parlamento Ministro della Salute, pag. 15).
Quanto descritto fa emergere una situazione territoriale profondamente ed ingiustamente disomogenea per quanto attiene all’accesso al servizio di ivg.
Alla luce di tutto quanto sopra rilevato, Le chiediamo pertanto di utilizzare al più presto i poteri di controllo e di intervento a Lei spettanti sulle Regioni in caso di non corretta erogazione del servizio e di voler prendere in considerazione le soluzioni da noi elaborate per migliorare l’applicazione della legge 194 nel Paese. Tra queste che, all’interno del meccanismo dei Livelli Essenziali di Assistenza, venga inserito un indicatore specifico che valuti la presenza/assenza, tempi e modalità di erogazione dei servizi per l’interruzione volontaria di gravidanza, e siano previste, per le Regioni che non garantiscono tali prestazioni, penalizzazioni nei finanziamenti.
Abbiamo approfondito ciascuna di queste misure, ma con questa lettera Le chiediamo un confronto e un riscontro concreto alle richieste nostre e di oltre 40 mila cittadine e cittadini che le hanno sottoscritte, chiedendoLe quindi di poterLa incontrare per un proficuo confronto su quanto riportato. Ci auguriamo che i temi e le richieste da noi sollevati abbiano nella Sua agenda la priorità e l’urgenza che meritano.
In attesa di un cordiale riscontro la ringraziamo in anticipo, con i migliori auguri di buon lavoro.
Giulia Crivellini
(Avvocata e Tesoriera di Radicali Italiani)
Vittoria Costanza Loffi
(Coordinatrice nazionale della campagna Libera di Abortire)
Federica Di Martino
(Ivg – ho abortito e sto benissimo)
Non restare a guardare. Firma l’appello perché ogni persona in Italia sia davvero libera di accedere pienamente al suo diritto di scelta, perché sia davvero Libera di Abortire.